Riduzione della frequenza cardiaca con Ivabradina dopo procedura PCI per infarto STEMI
Uno studio ha mostrato che la somministrazione di Ivabradina per via endovenosa può essere impiegata in sicurezza per rallentare la frequenza cardiaca nell’infarto cardiaco acuto con sovraslivellamento del tratto ST ( STEMI ), trattato mediante intervento coronarico percutaneo ( PCI ).
La via iniettiva permette di ridurre rapidamente la frequenza cardiaca nell'infarto STEMI. È stato pertanto avviato uno studio multicentrico europeo ( coinvolti 24 Centri di 5 Paesi: Francia, Germania, Spagna, Belgio e Australia ), randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, nel quale sono stati coinvolti pazienti di età compresa tra 40 e 80 anni dopo che era stata eseguita con successo una procedura PCI entro 6 ore dall’esordio dei sintomi dell'infarto miocardico con sopraslivellamento del segmento ST.
Obiettivo primario dello studio VIVIFY ( eValuation of the IntraVenous If inhibitor ivabradine after ST-segment elevation mYocardial infarction ) era dunque la valutazione degli effetti dell’Ivabradina per via endovenosa sulla frequenza cardiaca e i parametri emodinamici dopo procedura PCI per infarto STEMI.
Obiettivo secondario era la valutazione dell’efficacia e della sicurezza del farmaco in tale setting.
I soggetti arruolati ( età media: 59.4 anni; 78% uomini ) erano in ritmo sinusale, con frequenza maggiore di 80 bpm e pressione arteriosa sistolica superiore a 90 mmHg, e sono stati assegnati in modo casuale ( rapporto: 2:1 ) alla somministrazione endovenosa di Ivabradina ( n=82 ) con un bolo di 5 mg per 30 secondi seguito da una infusione di 5 mg per 8 ore, oppure a un placebo ( n=42 ).
La misura dell’outcome primario era costituita dalla frequenza cardiaca e dalla pressione arteriosa.
In entrambi i gruppi, la frequenza è apparsa ridotta lungo le 8 ore, con una diminuzione più rapida e marcata nel gruppo Ivabradina rispetto al placebo ( 22.2 vs 8.9 bpm, p inferiore a 0.0001 ).
Alla sospensione del trattamento, la frequenza cardiaca era simile in entrambi i gruppi.
Non sono state rilevate differenze tra i gruppi relative alla pressione arteriosa né si sono registrate differenze nei biomarcatori cardiaci, quali creatin-chinasi ( CK-MB ), troponina T e troponina I.
All’esame ecocardiografico effettuato al basale e dopo il trattamento ( in media 1.16 giorni ), i volumi ventricolari sinistri finali sono risultati inferiori nel gruppo Ivabradina sia in telediastole ( 87 vs 117 ml, p=0.01 ) sia in telesistole ( 42.5 vs 59.1 ml, p=0.03 ) senza differenze nella frazione ventricolare sinistra.
Nello studio pilota l’uso di Ivabradina dopo PCI per infarto miocardico con sopraslivellamento ST produce una rapida e persistente riduzione della frequenza cardiaca, apparsa sicura e tollerata.
In particolare, la riduzione della frequenza cardiaca determinata da Ivabradina non provoca alcun effetto sulla pressione sistolica o diastolica ma si associa a un minore volume telesistolico e telediastolico ventricolare sinistro all’ECG.
Secondo gli Autori, la somministrazione endovenosa di Ivabradina potrebbe essere di potenziale utilità nell'infarto STEMI, consentendo un rapido controllo della frequenza cardiaca senza influire sui valori pressori o sull’emodinamica.
Sono, tuttavia, necessari ulteriori studi per caratterizzare l'effetto del farmaco e valutarne l’impatto sulle dimensioni dell’infarto del miocardio, sulla funzione ventricolare sinistra e, in ultima analisi, sugli esiti clinici. ( Xagena_2013 )
Fonte: European Heart Journal, 2013
Xagena_Medicina_2013