Cardiotossicità da antracicline
Le antracicline sono tossiche e possono causare scompenso cardiaco anche dopo lungo tempo dal trattamento antitumorale.
Si ritiene che i danni dapprima lievi possano progredire fino ad una malattia miocardica permanente.
La cardiomiopatia successivamente dà origine a scompenso cardiaco.
La cardiotossicità delle antracicline può infatti essere classificata in acuta e subacuta, cronica e sequele tardive.
La tossicità acuta e subacuta si verifica entro alcune ore a pochi giorni dalla somministrazione delle antracicline ed è caratterizzata dalla comparsa di aritmie sopraventricolari e ventricolari, sindromi miocardiche e pericardiche ed episodi di vasospasmo cardiaco.
La tossicità cronica è invece caratterizzata dalla comparsa di uno scompenso cardiaco congestizio, entro 1 mese dalla somministrazione dell'ultima dose di antraciclina.
Il periodo di latenza può anche essere di 1-2 anni.
Le sequele tardive si verificano dopo 1 anno o più dalla fine del trattamento chemioterapico con antracicline e sono da addebitarsi a perdita di tessuto miocardico.
Queste alterazioni sono progressive negli anni e possono condurre ad una riduzione della contrattilità cardiaca, e quindi ad uno scompenso cardiaco conclamato.
L'esatto meccanismo alla base della cardiomiopatia da antracicline non è ancor ben definito.
L'ipotesi più accreditata è quella che coinvolge i radicali liberi.
Le antracicline andrebbero a formare complessi con il ferro, generando radicali liberi.
I radicali liberi esplicano la loro azion etossica a livello cardiaco mediante la perossidazione dei lipidi delle membrane mitocondriali e del reticolo sarcoplasmatico.
L'aumentato stress ossidativo è causa di alterazioni subcellulari nel miocardio.
Gli Ace-inibitori sarebbero in grado di produrre nei pazienti trattati durante l'infanzia con antracicline, e presentanti grave disfunzione ventricolare sinistra, un miglioramento transitorio della struttura e delle dimensioni del ventricolo sinistro.( Xagena_2004 )
Fonte: Iarussi D et al, Ital Heart J Suppl 2004; 5: 294-297
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