Un gene chiamato DBY è responsabile di circa il 5-6% dei casi di sterilità maschile che richiedono la fecondazione assistita. E' il recente risultato ottenuto dal gruppo di ricercatori dell'Università di Padova coordinati da Carlo Foresta e finanziati da Telethon che già l'anno scorso, sempre grazie al finanziamento di Telethon, avevano individuato un altro gene, chiamato DAZ, responsabile di circa il 15% dei casi della stessa patologia.
Spesso l'infertilità maschile non è dovuta a cause genetiche ma a disturbi curabili come infezioni, varicocele o la mancata discesa dei testicoli. Circa un quarto degli uomini infertili, tuttavia, pur non soffrendo di questi disturbi, possiede un liquido seminale povero o addirittura privo di spermatozoi (oligo-azoospermia): in questi casi l'unica speranza per le coppie che desiderano avere figli è quella di sottoporsi alla fecondazione assistita. In precedenza lo stesso gruppo di ricercatori padovani, così come altre équipes, avevano dimostrato che questo tipo di infertilità (detta oligo-azoospermia idiopatica) ha spesso origine genetica, essendo causata da difetti presenti sul cromosoma Y, quello che determina il sesso maschile e contiene i geni necessari per la produzione degli spermatozoi. Per quest'ultimo lavoro i ricercatori finanziati da Telethon hanno studiato il DNA di 173 uomini affetti da oligo-azoospermia idiopatica, scoprendo che in 8 di loro risultava mancare una piccola regione del cromosoma Y, diversa da quelle descritte in precedenza. In particolare risultava distrutto un gene chiamato DBY, già presente sulle mappe del genoma umano ma la cui funzione era finora ignota. Anche se ben poco ancora si conosce riguardo al funzionamento di DBY, alla luce di questi risultati è chiaro il suo importante ruolo nella spermatogenesi, cioè nel processo che porta alla produzione di spermatozoi maturi e funzionanti.
Inoltre, ricorda Carlo Foresta, questi risultati confermano che la massima prudenza va adottata nell'applicazione delle tecniche di fecondazione assistita autologa, come la cosidetta ICSI, che permettono di utilizzare pochi spermatozoi prelevati direttamente dal testicolo dell'uomo infertile e di iniettarli direttamente nella cellula uovo della partner. Con questa procedura infatti eventuali difetti genetici si trasmettono direttamente ai figli maschi, che a loro volta rischieranno di essere sterili. L'identificazione dei geni responsabili dell'infertilità può quindi aiutare a prevedere il rischio di trasmettere il disturbo alla discendenza e aiutare ad una scelta consapevole le tante coppie (oltre 500 mila in Italia) che ogni anno richiedono la fecondazione assistita.
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