Parkinson: effetto protettivo della neuromelanina


Solo in Italia sono oltre 200mila le persone affette dal morbo di Parkinson, la malattia degenerativa del cervello tristemente nota per aver colpito personaggi famosi come Cassius Clay , Papa Giovanni Paolo II e l'attore Michael J. Fox, che soffre di una rara forma giovanile della malattia.

La malattia di Parkinson è provocata dalla morte progressiva delle cellule nervose che producono la dopamina, un messaggero molecolare fondamentale nel controllo dei movimenti; queste cellule sono localizzate nella substantia nigra, una regione grande come un'unghia situata nelle parti più profonde del cervello. Come suggerisce il nome, questa zona del cervello è di colore scuro, a causa di un pigmento nero contenuto nei neuroni, chiamato neuromelanina. Questa sostanza nera, che finora si pensava essere implicata nella morte dei neuroni, potrebbe invece rappresentare un importante fattore protettivo.

Luigi Zecca, dell'Istituto di Tecnologie Biomediche Avanzate del CNR di Segrate, in collaborazione con ricercatori della Columbia University di New York, ha scoperto infatti che la neuromelanina rappresenta una sorta di "discarica" cellulare in cui i neuroni smaltiscono sostanze potenzialmente dannose, rendendole così innocue.

Zecca e i suoi collaboratori hanno osservato che le cellule nervose di ratto, quando accumulano elevate quantità di dopamina ( che è tossica se prodotta in eccesso ), reagiscono trasformandola in neuromelanina, che viene poi depositata in apposite strutture della cellula.

" E' un vero e proprio sistema di smaltimento dei rifiuti grazie al quale i neuroni possono eliminare prodotti pericolosi e forse anche sostanze provenienti dall'esterno, come i metalli tossici e i pesticidi, che ancora una volta sono stati messi sotto accusa perché sospettati di causare il Parkinson " ha spiegato Zecca. Un'ipotesi è che nelle persone colpite dal morbo il sistema di smaltimento sia in qualche modo difettoso, causando la morte delle cellule, anche se per ora questa è solo un'idea che andrà verificata sperimentalmente. " Ci vorranno anni di ricerche per capire se la nostra scoperta avrà un'utilità pratica - ha aggiunto Zecca - ma forse potrebbe aprire nuove prospettive nella lotta a questa grave malattia ".

Lo studio è stato pubblicato su PNAS, la rivista dell' Accademia Statunitense delle Scienze. ( Xagena_2001)