Insufficienza cardiaca: l’impiego degli inibitori dell'HMG-CoA reduttasi è associato a un più basso rischio di mortalità e di ricovero ospedaliero
Ricercatori del Kaiser Permanente of Northern California ad Oakland negli Stati Uniti hanno valutato l’associazione tra l’inizio della terapia con statine ed il rischio di morte e di ospedalizzazione negli adulti con scompenso cardiaco cronico.
Hanno preso parte allo studio pazienti adulti ai quali era stata diagnosticata insufficienza cardiaca e che erano eleggibili per la terapia ipolipemizzante ma che non avevano mai fatto impiego delle statine.
Il periodo osservazionale è stato di 2,4 anni.
Tra i 24.598 adulti con insufficienza cardiaca, quelli che hanno iniziato a fare uso di statine ( n = 12.648; 51.4% ) avevano una maggiore probabilità di essere più giovani, di essere di sesso maschile, di avere una malattia cardiovascolare, diabete ed ipertensione.
Un totale di 8.235 pazienti è deceduto.
All’analisi intention-to-treat, l’impiego di statine è risultato associato a più bassi rischi di morte ( 14.5 per 100 persone-anno con terapia a base di statine versus 25.3 per 100 persone-anno senza terapia con statine ) e di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca ( 21.9 per 100 persone-anno con terapia a base di statine versus 31.1 per 100 persone-anno senza terapia con statine ).
L’uso delle statine è risultato anche associato a più ridotti rischi di outcome ( esiti ) avversi nei pazienti con o senza malattia coronarica.
Lo studio ha mostrato che nei pazienti adulti con insufficienza cardiaca che precedentemente non facevano uso di statine, l’impiego di tali farmaci è risultato indipendentemente associato a più bassi rischi di morte o di ospedalizzazione, con o senza coronaropatia. ( Xagena_2006 )
Go AS et al, JAMA 2006; 296: 2105-2111
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