I pazienti con ischemia silente dopo infarto miocardico sono a sostanziale rischio di morte cardiaca improvvisa
Il presentarsi di morte cardiaca improvvisa nei pazienti con ischemia silente dopo infarto miocardico, e i fattori che facilitano la morte cardiaca improvvisa non sono noti.
Uno studio ha cercato di determinare i fattori che facilitano la morte cardiaca improvvisa nei pazienti con ischemia silente dopo infarto del miocardio.
Nello studio SWISSI II ( Swiss Interventional Study on Silent Ischemia Type II ), 201 pazienti con ischemia silente dopo infarto miocardico sono stati assegnati in modo casuale a essere sottoposti a intervento coronarico percutaneo ( PCI ) oppure a terapia medica.
Nel corso di un periodo osservazionale medio di 10.3 anni, sono state riscontrate 12 morti cardiache improvvise, corrispondenti a un’incidenza annuale media dell’evento dello 0.6%.
All’analisi di regressione multivariata, il declino nella frazione d’eiezione ventricolare sinistra ( FEVS ) durante il follow-up era il solo predittore indipendente di mortalità cardiaca improvvisa, oltre all’età; la FEVS al basale non lo era.
Il declino della FEVS è risultato maggiore nei pazienti trattati con farmaci che in quelli sottoposti a intervento PCI ( p<0.001 ), nonché nei pazienti con ischemia miocardica residua o infarto miocardico recidivante, rispetto agli altri pazienti ( p=0.038 e p<0.001, rispettivamente ).
Rispetto al trattamento farmacologico, l’intervento coronarico percutaneo ha ridotto l’incidenza di ischemia miocardica residua ( p<0.001 ) e l’infarto del miocardio ricorrente ( p=0.001 ) nel corso del periodo osservazionale.
In conclusione, i pazienti con ischemia silente dopo infarto miocardico sono a sostanziale rischio di morte cardiaca improvvisa. La prevenzione dell’ischemia miocardica residuale e dell’infarto miocardico ricorrente con l’impiego del PCI produce una migliore frazione d’eiezione ventricolare sinistra nel lungo periodo e riduce l’incidenza della morte cardiaca improvvisa ( Xagena_2009 ).
Schoenenberger AW et al, Am J Cardiol 2009; 104: 158-163
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Cardio2009