Decesso per cardiopatia ischemica e cambiamenti temporali nella frequenza cardiaca a riposo
La frequenza cardiaca a riposo è stata riconosciuta come un predittore indipendente di rischio cardiovascolare; tuttavia non è noto se i cambiamenti temporali nella frequenza cardiaca a riposo possano influenzare il rischio di decesso per cardiopatia ischemica nella popolazione generale.
È stato condotto uno studio per valutare l’associazione tra cambiamenti longitudinali nel lungo periodo nella frequenza cardiaca a riposo e rischio di morire per malattia cardiaca ischemica.
Lo studio prospettico di coorte condotto in Norvegia ha coinvolto 13.499 uomini e 15.826 donne senza malattia cardiovascolare nota.
La frequenza cardiaca a riposo è stata misurata in 2 occasioni a circa 10 anni l’una dall’altra nello studio Nord-Trøndelag County Health Study.
La seconda misurazione di frequenza cardiaca a riposo è stata ottenuta nel periodo 1995-1997, con successivo follow-up per la mortalità fino alla fine del 2008.
In totale, 60 partecipanti sono stati persi al follow-up, tutti a causa di emigrazione dalla Norvegia.
Durante un follow-up medio di 12 anni, 3.038 persone sono decedute e 388 decessi sono stati causati da cardiopatia ischemica.
Un aumento nella frequenza cardiaca a riposo è risultato associato a un aumento del rischio di decesso per cardiopatia ischemica.
Rispetto ai partecipanti con una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 70 battiti/minuto in entrambe le misurazioni ( 8.2 decessi/10.000 persone-anno ), l’hazard ratio ( HR ) aggiustato è stato 1.9 per i partecipanti con una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 70 battiti/minuto alla prima misurazione ma superiore a 85 battiti/minuto alla seconda ( 17.2 decessi/10000 persone-anno ).
Per i partecipanti con una frequenza cardiaca a riposo compresa tra 70 e 85 battiti/minuto alla prima misurazione e superiore a 85 battiti/minuto alla seconda ( 17.4 decessi/10000 persone-anno ), l’hazard ratio aggiustato è stato pari a 1.8.
L’associazione del cambiamento nella frequenza cardiaca a riposo con la mortalità per cardiopatia ischemica non è risultata lineare ( P=0.003 per la tendenza quadratica ), suggerendo che una diminuzione della frequenza cardiaca a riposo non ha mostrato un beneficio nella mortalità generale.
L’esclusione dei primi 3 anni di follow-up non ha alterato sostanzialmente i risultati osservati.
Le associazioni per la mortalità totale sono risultate simili ma generalmente più deboli rispetto a quelle osservate per mortalità correlata a cardiopatia ischemica.
In conclusione, tra uomini e donne senza malattia cardiovascolare nota, un aumento nella frequenza cardiaca a riposo in un periodo di 10 anni è risultato associato a un aumento del rischio di decesso per cardiopatia ischemica e anche per mortalità per tutte le cause. ( Xagena_2011 )
Nauman J et al, JAMA 2011; 306: 2579-2587
Cardio2011