Cardiomiopatia dilatativa non di natura ischemica: gli inibitori dell'HMG-CoA reduttasi riducono la mortalità
Le statine, anche note come inibitori dell'HMG-CoA reduttasi, sono risultate associate ad una riduzione dell’appropriata terapia con defibrillatore cardioverter impiantabile ( ICD ) nei pazienti con malattia coronarica e ad un miglioramento dello stato clinico nella cardiomiopatia dilatativa non-ischemica.
Uno studio ha valutato l’effetto delle statine sulla sopravvivenza e sull’attenuazione delle aritmie minaccianti la vita nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa non-ischemica.
L’effetto delle statine sul tempo alla morte o all’arresto cardiaco resuscitato ed il tempo alla morte improvvisa aritmica è stato valutato in 458 pazienti arruolati nello studio DEFINITE ( Defibrillators in Non-Ischemic Cardiomyopathy Treatment Evaluation ).
L’effetto delle statine sul tempo al primo shock appropriato è stato analizzato in 229 pazienti che erano stati randomizzati alla terapia ICD.
L’hazard ratio ( rapporto tra i rischi ) di morte tra i pazienti che erano in terapia con statine rispetto a quelli che non lo erano, è stato 0.22 ( p = 0.001 ).
Tra i pazienti che hanno ricevuto terapia ICD e che assumevano statine è stato osservato un miglioramento della sopravvivenza ( HR = 0.61; p = 0.04 ).
Nel gruppo dei pazienti trattati con statine ( n = 110 ), 1 paziente è morto di morte improvvisa ( 0.9% ) contro 18 su 348 pazienti che non erano in trattamento con statine ( 5.2%; p = 0.04 ).
L’hazard ratio di morte improvvisa aritmica tra i pazienti trattati con le statine rispetto a quelli non trattati è stato 0.16 ( p = 0.08 ).
L’hazard ratio per shock appropriati tra i pazienti del gruppo statine e quelli non in terapia con statine è stato 0.78.
Da questi dati gli Autori hanno concluso che l’impiego delle statine nello studio DEFINITE era associato ad una riduzione della mortalità del 78%.
Questa riduzione era in parte il risultato di una riduzione della morte improvvisa aritmica. ( Xagena_2006 )
Goldberger JJ et al, J Am Coll Cardiol 2006; 48: 1228-1233
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