Crioglobulinemia mista: terapia
Gli obiettivi terapeutici nella crioglobulinemia mista correlata al virus dell’epatite C sono l’infezione da HCV e il disordine autoimmune.
Dato il ruolo del virus HCV nella patogenesi della crioglobulinemia mista e della linfomagenesi, il trattamento dovrebbe essere diretto a interrompere la sequenza patogenetica che conduce al danno correlato alla vasculite. Come conseguenza, la clearance sostenuta di HCV deve essere tentata nei pazienti con infezione cronica da HCV e crioglobulinemia mista di tipo II con la finalità di migliorare i sintomi e prevenire le complicanze di malattia epatica cronica e l’evoluzione verso i disordini linfoproliferativi maligni.
Mentre nessun trattamento è richiesto nella crioglobulinemia mista asintomatica, nella malattia sintomatica l’approccio terapeutico dovrebbe essere adattato al singolo paziente in base all’intensità dei sintomi clinici. Nei pazienti con sintomi crioglobulemici lievi-moderati ( porpora, artralgie, neuropatia sensoriale periferica ), l’immunosoppressione di prima linea di norma consiste nell’impiego di steroidi a basso dosaggio. I pazienti con gravi manifestazioni di crioglobulinemia mista ( nefropatia crioglobulinemica, ulcere cutanee, neuropatia motoria e sensoriale, vasculite ) dovrebbero ricevere alti dosaggi di steroidi con o senza Ciclofosfamide. La rimozione dei complessi immuni circolanti mediante plasmaferesi può essere utile, particolarmente nella nefropatia crioglobulinemica attiva.
A causa del ruolo eziologico del virus HCV nella maggior parte dei pazienti con crioglobulinemia mista, l’eradicazione di HCV rappresenta il principale obiettivo del trattamento.
L’Interferone-alfa ( IFN-alfa ), da solo o associato alla Ribavirina, è il trattamento standard per la crioglobulinemia mista associata ad HCV.
Diversi studi hanno mostrato che l’Interferone alfa produce un miglioramento clinico significativo nel 40-70% dei pazienti con crioglobulinemia mista, e che la sua efficacia è strettamente associata all’inibizione della replicazione di HCV. Nei pazienti responder, la riduzione dell’RNA di HCV generalmente annuncia il declino del criocrito.
Uno studio ( Mazzaro et al., J Hepatol 2005 ) ha mostrato che su 18 pazienti con crioglobulinemia mista correlata ad HCV, trattati con l’associazione PegInterferone e Ribavirina per 48 settimane, l’RNA di HCV è diventato non evidenziabile nell’83% ( n= 15 ) dei pazienti e la maggior parte è andata incontro a miglioramento clinico. La risposta virologica, clinica e biochimica è risultata sostenuta nel 44% dei pazienti.
L’impiego di Interferone nei pazienti con crioglobulinemia mista è limitato dalla sua transitoria efficacia e dagli effetti indesiderati ( depressione, tiroidite, neuropatia ).
Nei pazienti con neuropatia periferica clinicamente evidente, nefropatia o ulcere cutanee, l’Interferone può aggravare queste manifestazioni.
Il trattamento antivirale è risultato efficace nel linfoma splenico con linfociti villosi associato a infezione da HCV e crioglobulinemia mista con conseguente clearance dell’HCV-RNA, remissione del linfoma e regressione delle manifestazioni cliniche della crioglobulinemia mista.
Questi dati rappresentano una forte argomentazione a favore del legame eziologico tra infezione da HCV, crioglobulinemia mista e linfoma.
Tra i linfomi non-Hodgkin a cellule B, il linfoma splenico della zona marginale mostra una particolarmente alta incidenza ( 35% ) di infezione da virus HCV.
È stato riportato che il trattamento antivirale con Interferone con o senza Ribavirina è efficace nel linfoma della zona marginale e nel linfoma indolente, nella maggior parte dei casi con crioglobulinemia. In questi studi, dove la maggioranza dei pazienti presentava linfoma splenico con linfociti villosi, la maggior parte dei pazienti ha raggiunto una risposta sostenuta del linfoma con regressione dei sintomi di crioglobulinemia mista dopo clearance dell’HCV RNA.
Una completa remissione con Interferone e Ribavirina è stata anche riportata in un paziente con linfoma non-Hodgkin di tipo mantellare associato ad HCV, resistente alla chemioterapia e a Rituximab.
Un controllo selettivo del clone di cellule B è stato tentato nella crioglobulinemia mista, utilizzando l’anticorpo monoclonale anti-CD20 Rituximab.
Questo farmaco, impiegato con successo nel trattamento dei linfomi a cellule B e di altre malattie linfoproliferative croniche, ha mostrato attività in altri disordini autoimmuni.
Rituximab al dosaggio standard di 375 mg/m2, somministrato ogni settimana per 4 settimane, è risultato efficace e ben tollerato, producendo un significativo e rapido miglioramento dei segni clinici ( porpora, artralgie, neuropatia sensoriale periferica ) e un declino del criocrito nella maggior parte dei pazienti con crioglobulinemia mista, compresi i pazienti resistenti ad Interferone.
È stata ottenuta anche la remissione di un sottostante disordine linfoproliferativo maligno. Rituximab ha dimostrato di essere sicuro ed efficace nel trattamento della nefropatia crioglobulinemica.
La completa remissione clinica era associata a una significativa riduzione dell’attività RF e dei titoli anticorporali anti-HCV.
Sebbene un aumento della viremia sia stata osservata nei responder, nessuna significativa variazione delle transaminasi o deterioramento della malattia epatica è stato riscontrato.
L’aggiunta di PegInterferone e Ribavirina dopo trattamento anti-CD20 è stato proposto per eliminare HCV mentre il mantenimento della remissione è stato ottenuto con Rituximab. La prima dose di Rituximab può indurre un transitorio aumento della crioglobulina che, tuttavia, non è indice di resistenza al trattamento. ( Xagena_2005 )
Fonte: Enrica Morra, Hematology 2005
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XagenaFarmaci_2005