Metastasi epatiche da carcinoma del colon-retto: la radioembolizzazione migliora la sopravvivenza
La radioembolizzazione ( somministrazione mediante iniezione intra-arteriosa epatica di microsfere biocompatibili caricate con l’isotopo radioattivo Ittrio-90 ) ha prodotto estensione della sopravvivenza dei pazienti con tumore al colon-retto con metastasi epatiche, indipendentemente dalla precedente terapia con Bevacizumab ( Avastin ).
Nella radioembolizzazione le microsfere radioattive vengono captate prevalentemente dal tessuto neoplastico, che è ipervascolarizzato rispetto al tessuto epatico sano.
Una volta intrappolate nel circolo vascolare del tumore, le microsfere irradiano il tessuto circostante con un range medio di 2.5 mm.
In questo modo, la radioterapia risulta estremamente selettiva consentendo di rilasciare dosi molto superiori di quanto si possa ottenere con la radioterapia convenzionale a fasci esterni.
Questa tecnica può essere utilizzata nei pazienti con tumori epatici primitivi ( epatocarcinoma o colangiocarcinoma ) o secondari ( metastasi da tumore del colon-retto, mammella, neuroendocrini, melanoma, pancreas, et altru ).
La tecnica è mininvasiva; viene condotta in anestesia locale e ha una durata di 15-20 minuti. L’effetto dell’Ittrio dura circa 10 giorni; le cellule neoplastiche irradiate vanno incontro a necrosi e, entro tre mesi, nel fegato rimane una cicatrice riparatrice.
Per la maggior parte dei pazienti ( più dell’80% ) è sufficiente un singolo trattamento e tale terapia sostituisce la chemioterapia.
Lo studio, di tipo retrospettivo, ha ha preso in esame 39 pazienti con metastasi epatiche da tumore del colon-retto sottoposti a radioembolizzazione nel periodo 2008-2012, e suddivisi in base al pretrattamento o meno con Bevacizumab.
I pazienti trattati con Bevacizumab sono stati suddivisi ulteriormente in base al tempo trascorso dalla somministrazione dell’ultima dose del farmaco.
30 pazienti erano stati pretrattati con Bevacizumab e 9 no. L’intervallo tra l’ultima dose di Bevacizumab e la radioembolizzazione era inferiore a tre mesi in 17 pazienti.
Il volume medio delle metastasi e la dose media di radioterapia erano, rispettivamente di 202.7 cm3 e 308 Gy nei pazienti non-pretrattati e 258.3 cm3 e 262.3 Gy in quelli pretrattati.
Il TNVR ( tumor-to-normal liver vascularity ratio ) è stato calcolato in 26 soggetti, dei quali 20 erano stati precedentemente trattati con Bevacizumab.
Non sono state osservate differenze significative tra i pazienti pretrattati o non-pretrattati con Bevacizumab riguardo al TNVR ( P=0.46 ).
La sopravvivenza media dalla diagnosi e dalla radioembolizzazione è stata rispettivamente di 30.8 mesi e di 19.8 mesi nei pazienti non-pretrattati con Bevacizumab e 31.6 e 13.3 nei soggetti pretrattati.
Dallo studio è emerso che il pretrattamento con Bevacizumab non estende la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a radioemboilizzazione.
La radioembolizzazione rappresenta una opzione terapeutica aggiuntiva rispetto alle terapie sistemiche ( chemioterapia e farmaci che inibiscono l'angiogenesi ) e alle metodiche di radiologia interventistica come l’alcolizzazione, la termoablazione, la chemioembolizzazione ( iniezione di farmaco e chiusura dell’arteria ).
La radioembolizzazione è indicata nei casi in cui il tumore è più avanzato, complicato da trombosi portale, e quindi non più trattabile con le metodiche di radiologia interventistica. Con la radioembolizzazione si riesce spesso a ottenere una remissione parziale della malattia, con allungamento dell’aspettativa di vita.
La metodica è complessa perché prevede uno studio preliminare, con una tomografia computerizzata ad alta definizione, e uno studio angiografico per visualizzare l'esistenza di arterie che portano sangue verso organi ( es. stomaco, pancreas, intestino o polmone ) dove le particelle di Ittrio non devono arrivare.
Per evitare fughe di particelle caricate con Ittrio in sede extraepatica occorre embolizzare le arterie visibili con spirali metalliche e poi iniettare dei macroaggregati, marcati con Tecnezio, dalla sede vascolare dalla quale poi sarà iniettato l’Ittrio.
Il paziente, in seguito, viene gestito dai medici di medicina nucleare, con esecuzione di una TC Spect per verificare che i macroaggregati si siano concentrati esclusivamente nell’area tumorale, senza fughe verso altri organi, dove potrebbero prococare gravi complicanze.
Esperti di fisica sanitaria calcolano, in base al volume del tumore, la quantità di particelle radioembolizzanti che occorrono, in modo da colpire le cellule cancerose con dosaggi ottimali, limitando l’esposizione degli organi sani. ( Xagena_2013 )
Fonte: International Symposium on Endovascular Therapy, 2013
Xagena_Medicina_2013