Introduzione
Nei primi anni ’90, sono state introdotte terapie di combinazione con inibitori della trascrittasi inversa che hanno cambiato il modo di utilizzo dei farmaci antiretrovirali impiegati per il trattamento dell’HIV ( human immunodeficiency virus ).
I progressi più recenti risalgono al 1996 con l’ottimizzazione del regime di somministrazione della terapia antiretrovirale altamente efficace ( Highly Active Antiretroviral Therapy, HAART ), seguita all’introduzione degli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa ( Non-Nucleoside Reverse Transcriptase Inhibitor, NNRTI ).
Tali evoluzioni hanno contribuito a trasformare l’infezione da HIV in una condizione cronica e suscettibile di trattamento.
Tuttavia, i progressi compiuti per allungare l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da HIV sono andati a scontrarsi con le nuove esigenze di sicurezza a lungo termine.
Le attuali terapie anti-HIV comportano numerosi effetti secondari nel breve periodo.
Tra le complicanze ci sono le disfunzioni metaboliche che portano ad alterazioni nella distribuzione del grasso corporeo e ad aumenti dei livelli plasmatici di colesterolo.
La terapia antiretrovirale stessa conferisce all’HIV la capacità di mutare rapidamente, sviluppando resistenza alle terapie stesse.
La resistenza crociata all’interno della classe degli antiretrovirali è ampia e l’emergere di ceppi di HIV resistenti ad un agente antiretrovirale può limitare il potenziale di efficacia dell’intera classe farmacologica.
Attualmente un’elevata percentuale di pazienti è infettata da virus particolarmente resistenti a tutte le classi di farmaci antiretrovirali oggi disponibili.
Questo ha comportato la trasmissione di virus resistenti nei soggetti infettati de novo, che hanno manifestato una resistenza multipla ai farmaci.
Da qui è nata l’esigenza di sviluppare nuovi agenti terapeutici antiretrovirali diretti verso bersagli diversi del ciclo vitale del virus che non siano interessati a mutazioni che comportino l’insorgenza di resistenza virale, rendendo inefficaci i farmaci utilizzati.
Fuzeon ( Enfuvirtide ) è il primo farmaco di una nuova classe di agenti antiretrovirali, gli inibitori della fusione.
L’Enfuvirtide è un peptide sintetico di 36 aminoacidi, che va a legarsi ad una regione della glicoproteina gp41 dell’involucro di rivestimento del virus, che è coinvolto nel processo di fusione del virus con la membrana cellulare dei linfociti CD4+.
Fuzeon presenta una forte e selettiva capacità inibitoria dell’infezione da HIV, compresi i virus multiresistenti.
In diversi studi clinici è stata dimostrata l’efficacia di Fuzeon in combinazione con un regime terapeutico antiretrovirale ottimizzato di associazione, scelto in base alla storia del paziente.
Fuzeon ha dimostrato la sua efficacia anche nei pazienti in età pediatrica.
Fuzeon agisce nell’ambiente extracellulare, con una bassa capacità di ingresso negli enterociti e negli epatociti, coinvolti, invece, nel metabolismo della maggior parte dei farmaci.
Ciò fa sì che l’interazione tra Fuzeon ed altri farmaci antiretrtovirali sia bassa.
Finora non sono state segnalate interazioni di Fuzeon con altri faramaci antiretrovirali.
Il profilo di sicurezza e di tollerabilità di Fuzeon ha fatto sì che il farmaco potesse essere assunto sia dai pazienti adulti che in età pediatrica.
Dagli studi clinici è emerso che l’aderenza al trattamento con Fuzeon è pari all’85% in più dell’80% dei pazienti.
La terapia con Fuzeon prevede due somministrazioni giornaliere da 90mg mediante iniezione sottocutanea a livello del braccio, della coscia o dell’addome.
La scelta della via di somministrazione ha un impatto limitato sulle attività quotidiane dei pazienti.
Meccanismo d’azione
Fuzeon è il capostipite di una nuova classe di farmaci antiretrovirali, denominati inibitori della fusione.
Fuzeon agisce impedendo la fusione della membrana virale con quella cellulare , a differenza dei convenzionali antiretrovirali che agiscono impedendo la replicazione del virus all’interno della cellula già infettata.
L’involucro virale contiene una proteina formata da due subunità, gp120 e gp41, che media il processo di fusione.
Quando almeno due molecole di gp120 si legano alle molecole situate sulla superficie dei linfociti CD4, nella subunità virale viene introdotto un cambiamento conformazionale che consente un’ulteriore interazione con i co-recettori espressi sulla membrana dei linfociti T ( CXCR4 o CCR5 ).
Tale interazione induce un cambiamento conformazionale in gp120 che porta all’esposizione di gp41, consentendo al suo gruppo idrofobico N-terminale di inserirsi nella membrana cellulare.
Successivamente, un’interazione tra le regioni HR1 ed HR2 della subunità gp41 consente la formazione di una struttura elicoidale tra le tre regioni HR1, stabilizzata dall’inserimento dei tre domini HR2.
Avvenuta la stabilizzazione, la subunità gp41 si contrae e le membrane virale e cellulare si fondono.
Fuzeon ha la capacità di mimare la regione HR2 della subunità gp41, e quando si lega alla regione HR1, rompe la formazione della struttura elicoidale, impedendo la fusione tra virus e cellula.
Farmacocinetica
Fuzeon è un peptide di 36 aminoacidi con un peso molecolare pari a 4492 , e, come tale, verrebbe immediatamente degradato dalle peptidasi del tratto gastrointestinale se venisse somministrato per bocca.
I primi studi prevedevano la somministrazione per via endovenosa, cosa che non è praticabile con un regime di autosomministrazione.
Pertanto, gli studi clinici successivi hanno valutato l’efficacia e la sicurezza della somministrazione sottocutanea.
Le sperimentazioni cliniche hanno dimostrato che Fuzeon per via sottocutanea è ben tollerato e le concentrazioni allo steady state rimangono elevate per le 12 ore successive all’iniezione.
L’assorbimento di Fuzeon è lento e prolungato, e produce un profilo di concentrazione plasmatica nel tempo, allo steady state, relativamente uniforme.
Uno studio clinico di fase I/II ( TRI-001 ) ha valutato diverse dosi sottocutanee di Fuzeon in monoterapia ( 3, 10, 30 o 100mg ) somministrate ai pazienti in modo sequenziale per 14 giorni.
Al giorno 15 la riduzione media della carica virale plasmatica è stata di circa 1.96 log10 copie/ml nei pazienti che avevano ricevuto il dosaggio maggiore.
Un ulteriore studio di fase I/II ( TRI-003 ) ha posto a confronto dosaggi da 12.5, 25, 50 e 100mg, somministrati per infusione sottocutanea continua, con dosaggi da 45mg o da 90mg, somministrati due volte al giorno con iniezioni sottocutanee.
In nessuno studio è stato segnalato alcun effetto dose-risposta per ciascun parametro di sicurezza.
Si ritiene che il catabolismo di Fuzeon avvenga a livello extracellulare, pertanto il suo metabolismo non sembra essere alterato da altri farmaci somministrati in concomitanza, nè la sua assunzione appare influenzare trattamenti contemporanei.
Questa ipotesi è stata confermata da una serie di studi in vitro e in vivo, sia su modelli animali che umani.
Fuzeon ha un’emivita di eliminazione apparente di 3.8 ore dopo somministrazione di una singola dose di 90mg per via sottocutanea.
Il volume di distribuzione di questo farmaco, dopo somministrazione endovenosa, è stato mediamente pari a 5.5l ( 21% ).
Non sono state osservate differenze nell’assorbimento di Fuzeon, somministrato per via sottocutanea in 3 diversi siti ( braccio, coscia, addome ).
Interazioni farmacologiche
Fuzeon non inibisce i processi metabolici dei principali isoenzimi del citocromo P450 e nemmeno i substrati metabolizzati da questi complessi.
Lo studio T20-505 ha valutato la somministrazione concomitante di Rifampicina ( 600mg una sola volta al giorno ) e Fuzeon ( 90mg due volte al giorno ).
Dallo studio non è emerso alcun effetto apprezzabile del pretrattamento della durata di 10 giorni con Rifampicina sulla farmacocinetica di Fuzeon.
Dallo studio T20-504 non è emerso alcun effetto clinicamente rilevante di una dose “booster” di Ritonavir sui parametri farmacocinetici di Fuzeon.
Popolazioni definite di pazienti
Fuzeon non è stato studiato nei pazienti con danno renale.
Tuttavia, i dati provenienti da due studi clinici di fase III, TORO, hanno indicato che Fuzeon può essere impiegato senza modifiche di dosaggio nei pazienti con una clearance della creatinina superiore a 35ml/min.
Non sono stati ancora effettuati studi che hanno valutato l’impiego di Fuzeon nei pazienti con clearance della creatinina inferiore a 35ml/min.
La farmacocinetica di Fuzeon non è stata studiata nei pazienti con danno epatico.
Dal momento che il farmaco non viene metabolizzato dal citocromo P450 si ritiene che
Le alterazioni epatiche abbiano una scarsa influenza sul metabolismo del farmaco.
Studi compiuti su animali non mostrato alcun effetto negativo del farmaco sullo sviluppo embrionale.
Tuttavia, non sono disponibili studi su donne in gravidanza.
In gravidanza l’impiego di Fuzeon deve essere effettuato solo se il potenziale beneficio per la madre giustifichi il potenziale rischio per il feto.
E’ sconsigliato alle donne che assumono Fuzeon di allattare i propri figli per la possibile trasmissione del virus HIV attraverso il latte materno e per i possibile effetti indesiderati del farmaco sul neonato.
Il profilo farmacocinetico di Fuzeon in età pediatrica è risultato simile a quello in età adolescenziale ed a quello in età adulta.
I risultati ottenuti derivano da somministrazioni di 2mg/kg due volte al giorno ( fino ad un massimo di 90mg due volte al giorno ), per via sottocutanea, a pazienti tra i 6 ed i 16 anni.
La clearance di Fuzeon nelle donne, dopo aggiustamento per peso corporeo, è risultata inferiore del 20% rispetto a quella maschile, ma ciò non è clinicamente rilevante e non è stata indicata alcuna variazione di dosaggio. ( Xagena2005 )
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