I farmaci per la cura del disturbo da deficit di attenzione e iperattività


I pazienti affetti da ADHD ( disturbo da deficit di attenzione e iperattività ), possono essere sottoposti a terapie: farmacologiche, psico-comportamentali, e combinate ( psico-comportamentali e farmacologiche ).

I farmaci per la cura dell'ADHD

Gli psicostimolanti sono considerati la terapia più efficace per l'ADHD e il Metilfenidato è il farmaco di cui, fino ad oggi, è stata raccolta la maggiore esperienza.
Gli psicostimolanti agiscono sui trasportatori per le monoamine: il Metilfenidato modula soprattutto la quantità di dopamina, e di noradrenalina, presente nello spazio intersinaptico. Potenzia una trasmissione dopaminergica deficitaria e attenua uno stato di iperattività dopaminergica. È in grado di migliorare l'inibizione delle risposte, la memoria di lavoro e i processi di discriminazione degli stimoli.

Metilfenidato

Il Metilfenidato ( Ritalin ) è il medicinale di scelta per il trattamento in terapia farmacologica dell’ADHD.

Il Metilfenidato è somministrato in base al peso corporeo, mediamente 0.3-0.6 mg/kg/dose in due-tre dosi die.
L’assorbimento gastrointestinale del Metilfenidato è rapido e pressoché completo. La somministrazione orale di Metilfenidato induce un picco plasmatico dopo una-due ore con emivita di eliminazione di 3-6 ore: il farmaco inizia a mostrare la sua attività clinica dopo circa mezz’ora dalla somministrazione orale, raggiunge il picco di attività dopo un’ora, per una durata terapeutica di circa 2-5 ore.
Il Metilfenidato viene pertanto solitamente somministrato 2-3 volte al giorno.
Esiste peraltro una notevole variabilità di risposta clinica tra i singoli individui e l’efficacia non appare correlata con i livelli plasmatici del farmaco.

I risultati di alcuni studi clinici controllati hanno evidenziato che il Metilfenidato è efficace in circa il 70% dei bambini con ADHD.
L’effetto terapeutico è rapido. Una settimana di trattamento è in genere sufficiente per ottenere benefici valutabili anche in ambito scolastico: aumento dell’attenzione, della capacità di portare a termine i compiti assegnati, oltre a una riduzione dell’impulsività, della distrazione e delle interazioni interpersonali conflittuali.

Negli studi finora condotti è stato notato che la stessa dose di Metilfenidato può tuttavia produrre in bambini con ADHD cambiamenti in positivo, in negativo o nulli, in base al metodo di valutazione usato.
Questo paradosso evidenzia l’eterogeneità dei metodi di valutazione finora utilizzati nelle sperimentazioni cliniche, che vanno da una soggettiva percezione di miglioramento da parte dei genitori, a valutazioni cliniche ambulatoriali, fino all’analisi del rendimento scolastico del bambino.

Circa il 30% dei bambini con ADHD non risponde al Metilfenidato.
I fattori che sembrano limitare l’efficacia del farmaco sono: la predominanza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico ( sintomi che nei bambini con ADHD il Metilfenidato migliora ), la concomitanza di lesioni organiche e neuroevolutive, e la presenza di condizioni socioeconomiche ed ambientali sfavorevoli.
Tutti elementi che riconducono anche alla difficoltà ed eterogeneità della definizione diagnostica di questa sindrome.

Mentre l’efficacia nel breve periodo è ben documentata, pochi sono stati finora gli studi che hanno analizzato gli effetti a lungo termine del Metilfenidato.
I risultati ottenuti non hanno evidenziato nei pazienti trattati un miglior inserimento sociale o il raggiungimento di più alti livelli di scolarità rispetto ai controlli.
Ne consegue che le evidenze a tutt’oggi disponibili supportano l’uso del farmaco solo per un periodo di breve durata e nell’ambito di una terapia non solo farmacologica.

Una metanalisi dei dati di letteratura a oggi disponibili, indica che, indipendentemente dall’eventuale sensibilizzazione al Metilfenidato, l’esposizione precoce al trattamento farmacologico di bambini con ADHD, piuttosto che favorire, previene l’abuso di sostanze psicotrope in adolescenza o in giovane età adulta.
Possibili meccanismi di tale effetto protettivo includono: riduzione dei sintomi dell’ADHD, sopratutto dell’impulsività, miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni con coetanei e adulti di riferimento, possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il disturbo antisociale di personalità.

L’Agenzia regolatoria degli Stati Uniti, FDA, ha chiesto ai produttori di farmaci stimolanti utilizzati nel trattamento dell’ADHD di aggiungere un nuovo avvertimento sugli effetti avversi a livello del sistema cardiovascolare.

Atomoxetina

L’Atomoxetina è un inibitore selettivo del riassorbimento della noradrenalina per la terapia dell'ADHD nei bambini al di sopra dei 6 anni di età, adolescenti e adulti.

Non è noto come il farmaco riduca i sintomi nel deficit di attenzione ed iperattività, tuttavia si ritiene che la noradrenalina svolga un importante ruolo nel regolare l'attenzione, l'impulsività e i livelli di attività.

Durante la prima settimana di terapia l’Atomoxetina viene somministrata in dosi quotidiane di 0.5mg/kg, con aumento progressivo fino al dosaggio intermedio di mantenimento di 0.8mg/kg die. La somministrazione avviene una volta al giorno: in caso di difficoltà di tollerabilità si può suddividere in due volte.

L’efficacia dell’Atomoxetina è stata valutata attraverso 8 studi controllati verso placebo condotti su circa 1500 pazienti, di cui più di 1000 erano bambini e adolescenti.
Alcuni dei pazienti, sia pediatrici che adulti, sono stati seguiti in studi in aperto per vari anni ( periodo di tempo superiore a 3 anni ) per ottenere dati relativi all’efficacia ed alla sicurezza del trattamento a lungo termine.

Ad oggi non vi sono chiare evidenze circa l’efficacia al lungo termine e all’effettiva necessità di un trattamento protratto oltre i 3-6 mesi.

Riguardo la sicurezza del farmaco, nel corso del 2005, sia l’EMEA ( oggi EMA, European Medicines Agency ) che la Food and Drug Administration ( FDA ) hanno allertato il personale medico e i pazienti circa l’aumentato rischio di pensieri suicidari in bambini e adolescenti in terapia con Atomoxetina.
L’incremento del rischio suicidarlo è stato identificato in una metanalisi di alcuni studi della durata da sei a diciotto settimane.
E' emerso che lo 0.4% dei bambini trattati con Atomoxetina manifesta pensieri suicidari mentre in quelli trattati con placebo non è stato registrato nessun caso del genere.
Un’analisi simile è stata eseguita anche tra adulti affetti da disturbo ADHD o con depressione: in questi soggetti non si è avuto incremento di comportamenti autolesionistici.
Le Autorità regolatorie hanno deciso di far inserire nella scheda tecnica del prodotto le avvertenze aggiornate sul rischio di ideazione e comportamento suicidario, per richiamare l’attenzione sul fatto che i ragazzi che stanno iniziando la terapia a base di Atomoxetina devono essere controllati attentamente per monitorare eventuali manifestazioni anomale del comportamento, pensieri suicidari o peggioramenti del quadro clinico psichiatrico.

Particolare attenzione va anche rivolta agli effetti cardiovascolari che possono essere indotti dal farmaco.
L’FDA ha chiesto ai produttori di farmaci stimolanti utilizzati nel trattamento dell’ADHD di aggiungere un nuovo avvertimento sugli effetti avversi per il sistema cardiovascolare mentre ha respinto le raccomandazioni segnalate da un gruppo di esperti favorevoli al black box riguardante il possibile rischio di morte improvvisa: questa informazione è stata inserita nelle avvertenze generali del farmaco.
L’FDA aveva inviato nel maggio 2006 una lettera direttamente agli sponsor per rinforzare le precauzioni per l’uso. ( Xagena_2013 )

Fonte: Istituto Superiore di Sanità, 2013

Xagena_Medicina_2013