Post-infarto miocardico acuto: l’albuminuria è un predittore indipendente di mortalità
Un aumento dell’albuminuria si presenta nei primi giorni dopo infarto miocardico acuto.
Uno studio, che ha coinvolto 1.211 pazienti consecutivi, ricoverati per infarto miocardico acuto ( IMA ), ha esaminato la relazione esistente tra l’albuminuria e la mortalità a 30 giorni.
La popolazione è stata classificata in 3 gruppi in base ai livelli di albuminuria ( <20, 20-200 e >200 microg/min ).
Al secondo giorno, tra i pazienti sopravvissuti, il 52% ha presentato un livello di albuminuria inferiore a 20 microg/min; il 39% tra 20 e 200, e il 9% valori superiori a 200 microg/min.
Alti livelli di albuminuria sono risultati associati a età più avanzata, malattia vascolare periferica, ipertensione sistolica, livelli di glucosio, creatinina, troponina, peptide natriuretico di tipo B, e proteina C-reattiva a alta sensibilità ( hs-CRP ), così come all’impiego dell’angiografia, Ace inibitori, beta-bloccanti.
A 1 mese è emersa una più alta mortalità nei gruppi con valori più elevati di albuminuria.
Dopo aggiustamento per caratteristiche basali, i pazienti con livelli di albuminuria maggiori di 20 microg/min hanno presentato una mortalità a 30 giorni più alta di 2.7 volte, e quelli con valori superiori a 200 microg/min una mortalità sempre a 30 giorni quasi 4 volte maggiore, rispetto a coloro che presentavano livelli inferiori a 20 microg/min.
In conclusione, il livello di albuminuria risulta essere un potente predittore indipendente di mortalità dopo infarto miocardico acuto. ( Xagena_2009 )
Schiele F et al, Am Heart J 2009; 157: 327-333
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