Studio SPRINT, il trattamento antipertensivo intensivo è sicuro ?


Dallo studio SPRINT è emerso che un trattamento più aggressivo della pressione arteriosa, che ha come target valori di sistolica al di sotto degli obiettivi indicati dalle attuali lineeguida, riduce in maniera significativa l'incidenza di malattie cardiovascolari e quello di mortalità, nei soggetti ipertesi adulti.

Il raggiungimento della pressione sistolica al di sotto di 120 mmHg nella popolazione dello studio SPRINT ha permesso di ridurre di circa un terzo l’endpoint combinato ( eventi cardiovascolari e cerebrovascolari e mortalità generale e cardiovascolare ), rispetto a quanti erano stati trattati secondo il target sistolico previsto dalle attuali lineeguida ( 140 mmHg ).

Lo studio SPRINT ha preso avvio alla fine del 2009; ha arruolato oltre 9.300 pazienti di età pari o superiore ai 50 anni presso più di 100 Centri medici negli Stati Uniti e a Puerto Rico.
Sono stati esclusi pazienti con pregresso ictus, con diabete mellito o con rene policistico.

I pazienti arruolati erano stati assegnati in maniera casuale a due gruppi di trattamento che differivano in base al target pressorio da raggiungere; per il primo gruppo l’obiettivo di pressione sistolica è stato fissato al di sotto di 140 mmHg e i pazienti sono stati trattati in media con due farmaci.
Nel gruppo trattamento aggressivo l’obiettivo di pressione sistolica da raggiungere è stato fissato su valori pari o inferiori a 120 mmHg con l'utilizzo in media di tre farmaci antipertensivi in associazione.

A 1 anno, la pressione sistolica media è stata pari a 121.4 mmHg nel gruppo intensivo contro 136.2 mmHg nel gruppo trattamento standard.

L'intervento è stato interrotto precocemente dopo un follow-up mediano di 3.26 anni a causa di una significativa riduzione degli eventi dell’endpoint primario nel trattamento intensivo ( 1.65% per anno rispetto al 2.19%; hazard ratio [ HR ] di trattamento intensivo, 0.75; intervallo di confidenza di 95%, 0.64 - 0.89; P inferiore a 0.001 ).

La mortalità è risultata significativamente più bassa nei pazienti trattati in modo intensivo ( HR=0.73; IC 95%, 0.60-0.90; p = 0.003 ).

L’incidenza di infarto miocardico, ictus e sindromi coronariche acute non si è ridotta nel gruppo trattato intensivamente, mentre si è ridotta in modo sensibile l’incidenza di insufficienza cardiaca.

I tassi di gravi eventi avversi quali ipotensione, sincope, alterazioni elettrolitiche, insufficienza renale acuta, sono risultati maggiori nel gruppo trattato in modo intensivo.

Dallo studio è emerso che tra i pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari, ma senza diabete mellito, il bersaglio di una pressione sistolica inferiore a 120 mm Hg, rispetto a una inferiore a 140 mmHg, ha comportato minori tassi di eventi cardiovascolari fatali e non-fatali e di decessi per qualsiasi causa, anche se i tassi significativamente più elevati di alcuni effetti avversi devono essere tenuti in considerazione.

Lo studio presenta dei limiti, tra cui l’assenza dei pazienti affetti da diabete e il maggiore impiego dei diuretici, che può aver influenzato notevolmente la bassa incidenza di insufficienza cardiaca ( valutata generalmente come dispnea ), nel gruppo trattato in modo intensivo.

Cautela nel trattamento aggressivo delle pressione è d'obbligo tenuto conto della maggiore incidenza di effetti indesiderati ( insufficienza renale, ipotensione, sincope ). ( Xagena_2015 )

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2015

Xagena_Medicina_2015