Chirurgia bariatrica scarsamente utile nei pazienti anziani ad alto rischio


Secondo uno studio, per i pazienti più anziani, grandi obesi e malati, la chirurgia bariatrica non può ridurre il rischio di mortalità.

In uno studio di coorte retrospettivo svolto prevalentemente su veterani maschi degli Stati Uniti, i tassi di mortalità grezzi sono stati inferiori di oltre 6 anni per coloro che si erano sottoposti all’intervento chirurgico rispetto ai controlli.

I risultati contrastano con le ricerche precedenti, che invece avevano mostrato chiari benefici nella sopravvivenza delle persone con obesità patologica; ma le prime ricerche erano state compiute su donne giovani.

Negli uomini grassi, la procedura Roux-en-Y è intrinsecamente più difficile a causa delle differenze anatomiche rispetto alle donne.
La procedura ha anche un alto tasso di mortalità perioperatoria in questi soggetti.
Gli uomini e i pazienti con alti tassi di comorbilità hanno il più alto rischio di morte a causa della loro obesità, e questi individui potrebbero beneficiare della perdita di peso indotta dalla chirurgia bariatrica.

Nessuno studio aveva ancora focalizzato l’attenzione sui pazienti ad alto rischio. Per contribuire a colmare il divario è stata esaminata una coorte di 850 pazienti anziani ad alto rischio sottoposti a chirurgia bariatrica nel periodo 2000-2006.
I pazienti sono stati abbinati con 41.244 controlli non chirurgici.

Il periodo osservazionale è stato condotto fino alla fine del 2008 per una media di 6.7 anni.

Il monitoraggio della sopravvivenza è stato effettuato dalla prima lettura di indice di massa corporea ( BMI ) pari a 35 o superiore.

I pazienti chirurgici erano significativamente più giovani e più pesanti rispetto ai controlli ( p<0.001 ) per entrambi i confronti: 49.5 anni versus 54.7, e indice di massa corporea di 47.4 contro 42.
Avevano anche una maggiore probabilità di essere grandi obesi, definiti in base a un indice di massa corporea superiore a 50, e di razza bianca, ma una minore probabilità di essere maschi o sposati.

L'analisi ha rilevato che:

a) 11 pazienti su 850 casi chirurgici ( 1.29% ) sono deceduti entro 30 giorni dall'intervento;

b) i pazienti chirurgici hanno avuto più bassi tassi di mortalità grezzi rispetto ai controlli: 1.5% contro 2.2% a 1 anno, 2.2% contro 4.6% a 2 anni, e 6.8% contro 15.2% a 6 anni. Gli ultimi due confronti sono risultati significativi con p<0.001;

c) in una regressione di Cox non aggiustata, la chirurgia bariatrica è stata associata a riduzione della mortalità, con un hazard ratio ( HR ) di 0.64, statisticamente significativo con p<0.001.

L’aggiustamento per le variazioni al basale ha attenuato l'associazione tra trattamento e sopravvivenza, pur rimanendo significativa con p=0.045.

Per avere un quadro più chiaro, è stata condotta un’analisi mediante la metodica del propensity matching con 847 casi e 847 controlli, con coorti simili con l’unica eccezione per l’anno di arruolamento nello studio.
In tale analisi, le differenze di mortalità sono quasi scomparse. La mortalità grezza differiva solo a 6 anni: 6.7% per i casi versus 12.8% per i controlli, significativa con p<0.001.

L’analisi di regressione di Cox, però, ha mostrato un HR per mortalità di 0.83, con un intervallo di confidenza 95% compreso tra 0.61 e 1.14.
Se la regressione fosse stata corretta per la differenza nei tempi di inizio sarebbe stata di 0.94, con un intervallo di confidenza di 0.64-1.39.

I risultati sottolineano l'importanza dell’aggiustamento statistico e della attenta selezione delle coorti chirurgiche e non chirurgiche, in particolare durante la valutazione della chirurgia bariatrica.

Si è dimostrato che le differenze di sopravvivenza erano modeste nella maggior parte degli studi precedenti e sarebbero quasi scomparse con l’aggiustamento per i fattori confondenti.

È necessario sottolineare che lo studio ha analizzato una coorte di pazienti più anziani, malati e prevalentemente di sesso maschile, quindi i risultati potrebbero non essere applicabili a tutti i pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica; inoltre potrebbe esserci ancora un residuo confondimento, nonostante l’analisi mediante la metodica del propensity matching. ( Xagena_2011 )

Fonte: Journal of American Medical Association, 2011



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