I risultati di due nuovi studi riaprono la discussione su Bevacizumab nel tumore alla mammella


I risultati dello studio National Surgical Adjuvant Breast and Bowel Project ( NSABP ) B-40 e dello studio GeparQuinto ( GBG44 ) rivestono grande interesse dopo l’annuncio da parte dell’Agenzia regolatoria degli Stati Uniti FDA ( Food and Drug Administration ) emesso nel Novembre del 2011 relativo alla revoca dell’approvazione di Bevacizumab ( Avastin ) in combinazione con Paclitaxel per il trattamento del tumore mammario metastatico.

Bevacizumab, un anticorpo monoclonale diretto contro VEGF ( fattore di crescita dell’endotelio vascolare ), era stato approvato con procedura accelerata della FDA nel 2008 come trattamento di prima linea nel carcinoma mammario metastatico HER2-negativo.

L’approvazione era stata concessa sulla base di prove che avevano dimostrato un significativo miglioramento dovuto al trattamento settimanale con Paclitaxel e Bevacizumab rispetto al solo Pacitaxel della sopravvivenza libera da progressione, ma non della sopravvivenza globale.

Questa approvazione ha portato alla pianificazione di un gran numero di studi clinici con Bevacizumab e altri chemioterapici nel tumore al seno.

Gli studi NSABP B-40 e GBG44 erano stati disegnati sulla base del presupposto plausibile che, nei casi di carcinoma mammario metastatico, deve essere impiegato un endpoint surrogato clinico, come la sopravvivenza libera da progressione, poiché i pazienti vivono molto più a lungo rispetto alla durata di uno studio clinico e in genere ricevono molte altre terapie sistemiche che possono alterare i risultati della sopravvivenza globale.

Il problema irrisolto riguarda la possibilità che i miglioramenti significativi in un endpoint surrogato come la sopravvivenza libera da progressione, in assenza di un beneficio per la sopravvivenza globale, siano potenzialmente predittivi dei benefici nei pazienti con cancro alla mammella in stadio precoce.

La controversia in corso sulla terapia del cancro mammario con Bevacizumab va oltre gli aspetti scientifici dell’angiogenesi tumorale e coinvolge l'uso di endpoint surrogati nelle sperimentazioni cliniche, nonché argomenti economici sul crescente costo dei nuovi farmaci antitumorali.

È in questa ottica che devono essere considerati gli studi NSABP B-40 e GBG44, dal momento che ognuno di questi studi riporta un significativo miglioramento con Bevacizumab in un altro endpoint clinico surrogato: la risposta patologica completa.

L'obiettivo primario degli studi GBG44 e NSABP B-40 era quello di determinare se la combinazione di Bevacizumab con vari regimi chemioterapici fosse in grado di produrre in modo significativo un miglioramento del tasso di risposta completa patologica nelle donne con tumore al seno non metastatico HER2-negativo. Entrambi gli studi hanno mostrato significativi miglioramenti nel tasso di risposta patologica completa.

I due studi hanno utilizzato diverse definizioni dell’endpoint primario: nello studio GBG44, la risposta patologica completa è stata definita come l'assenza di tumori residui a livello mammario e nei linfonodi, mentre nello studio NSABP B-40 la definizione meno rigorosa si basava solo sull’assenza di residui tumorali della mammella.

Nello studio GBG44, il tasso complessivo di risposta patologica completa con l'aggiunta di Bevacizumab è stato di 3.5 punti percentuali superiore al tasso ottenuto senza Bevacizumab ( P=0.04 ), mentre nello studio NSABP B-40, il tasso con Bevacizumab è stato di 6.3 punti percentuali superiore al tasso rilevato senza Bevacizumab ( P=0.02 ).

Tuttavia, quando è stata utilizzata la più stringente definizione di risposta patologica completa, le differenze osservate nello studio NSABP B-40 non sono più risultate significative.

Gli studi GBG44 e NSABP B-40 hanno impiegato regimi chemioterapici a base di Docetaxel rispetto al regime settimanale di Paclitaxel, che aveva portato all’approvazione dell’anticorpo monoclonale.

Il trattamento settimanale di Paclitaxel e di Bevacizumab aveva portato ad una sopravvivenza libera da progressione mediana di circa 1 anno in 3 studi distinti, un risultato migliore rispetto alla sopravvivenza libera da progressione riportata con tutti gli altri regimi chemioterapici basati su Bevacizumab nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico.

Una possibile spiegazione per questa discrepanza è che il beneficio di Bevacizumab è specifico per l’agente chemioterapico impiegato e, in associazione a Paclitaxel, Bevacizumab riesce ad esercitare un più potente effetto antiangiogenico.

Le analisi dei sottogruppi negli studi NSABP B-40 e GBG44 hanno mostrato risultati controversi: nello studio GBG44, i tassi di risposta patologica completa sono risultati significativamente aumentati con Bevacizumab nelle pazienti con tumore alla mammella negativo per il recettore ormonale ( triplo negativo ); nello studio NSABP B-40 è stata osservata solo una tendenza a favore di Bevacizumab.

Al contrario, lo studio NSABP B-40 ha mostrato un significativo aumento del tasso di risposta patologica completa nei pazienti con cancro positivo per il recettore ormonale, mentre nello studio GBG44 non sono emerse differenze.

Queste discrepanze appaiono essere dovute a differenze tra i due studi riguardo ai criteri di ammissibilità e al disegno degli studi.

Sebbene i vantaggi ( nel caso dello studio GBG44 ) e le tendenze ( nello studio NSABP B-40 ) rispetto al tumore al seno triplo negativo siano coerenti con quelli di altri studi, il vantaggio specifico di Bevacizumab nelle pazienti con cancro e positività per il recettore ormonale è inaspettato.

Dall’analisi di diversi biomarcatori, si spera che possano emergere biomarcatori predittivi di risposta al Bevacizumab, in modo da permettere di individuare le pazienti con tumore alla mammella che potrebbero trarre maggiori benefici dalla terapia con Bevacizumab. ( Xagena_2012 )

Montero AJ, Vogel C, NEJM, 2012



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