Tumore del polmone a piccole cellule in stadio limitato, consolidamento con Durvalumab dopo la chemioradioterapia nuovo standard di cura. Studio ADRIATIC


Nei pazienti con tumore del polmone a piccole cellule ( microcitoma ) in stadio limitato (LS-SCLC), non-progredito dopo la chemioradioterapia concomitante (cCRT), che è l’attuale standard di cura, un trattamento di consolidamento con l’immunoterapico Durvalumab ( Imfinzi ) produce miglioramenti statisticamente significativi e clinicamente rilevanti della sopravvivenza globale (OS) e della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola chemioradioterapia concomitante (più placebo).

I risultati, della prima analisi intermedia pianificata dello studio di fase 3 ADRIATIC hanno mostrato che dopo un follow-up mediano di 37,2 mesi (range: 0,1-60,9) la sopravvivenza mediana globale è risultata di 55,9 mesi (IC al 95% 37,3 - non-valutabile) nel braccio trattato con Durvalumab contro 33,4 mesi (IC al 95% 25,5-39,9) nel braccio controllo, una riduzione del 27% del rischio di morte per i pazienti sottoposti all’immunoterapia dopo la chemioradioterapia concomitante (HR 0,73; IC al 95%, 0,57-0,93; P = 0,0104).

Inoltre, con un follow-up mediano di 27,6 mesi (range: 0,0-55,8), la sopravvivenza mediana libera da progressione è risultata di 16,6 mesi (IC al 95% 10,2-28,2) con Durvalumab rispetto a 9,2 mesi (IC al 95% 7,4-12,9) con il placebo, con una riduzione del 24% del rischio di progressione della malattia o di morte a favore del trattamento con l'immunoterapia (HR, 0,76; IC al 95%, 0,61-0,95; P = 0,0161).

I risultati rappresentano una svolta per questa malattia altamente aggressiva in cui i tassi di recidiva sono elevati, con solo il 15-30% dei pazienti vivo a 5 anni. Durvalumab ha già dimostrato un beneficio nella malattia di stadio esteso, ora sono importanti i progressi nello stadio limitato. Nello studio ADRIATIC, quasi il 57% dei pazienti è vivo a 3 anni. Durvalumab è la prima terapia sistemica, dopo decenni, a mostrare un miglioramento della sopravvivenza in questi pazienti e dovrebbe diventare un nuovo standard di cura in questo setting.

Il microcitoma polmonare è una malattia estremamente aggressiva che in un terzo dei casi al momento della diagnosi è in stadio limitato, cioè confinata al torace.
La chemioterapia concomitante è l'attuale trattamento standard per i pazienti con cancro del polmone a piccole cellule di stadio limitato; tuttavia, la maggior parte di questi pazienti finisce per avere una ricaduta entro 2 anni dal trattamento e il tasso di sopravvivenza a 5 anni è di solo il 29%-34%.

Il razionale di impiego di Durvalumab nello studio ADRIATIC si fonda sui risultati degli studi registrativi di fase 3 PACIFIC e CASPIAN.
La strategia di mantenimento dopo la chemioradioterapia si è dimostrata efficace con Durvalumab, anche nel tumore del polmone non-a-piccole cellule ( studio PACIFIC ); inoltre l'immunoterapia con Durvalumab, associata alla chemioterapia, è diventata un nuovo standard nel microcitoma in stadio esteso ( studio CASPIAN ).

Studio ADRIATIC

ADRIATIC è uno studio multicentrico internazionale, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, che ha coinvolto 730 pazienti con tumore del polmone a piccole cellule in stadio limitato ( da I a III ), compresi quelli con malattia inoperabile in stadio I/II. Per l’arruolamento era richiesto un performance status ( PS ) OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ) pari a 0 o 1 e l’assenza di progressione dopo la chemioradioterapia concomitante. Era consentita, invece, l'irradiazione cranica profilattica prima della randomizzazione.

La chemioterapia era costituita da Platino ed Etoposide, fino a quattro cicli, mentre la radioterapia poteva consistere in 60-66 Gy una volta al giorno per 6 settimane o 45 Gy due volte al giorno nell’arco di 3 settimane.

I partecipanti sono stati assegnati a tre bracci, il primo trattato con l’anticorpo anti-PD-L1 Durvalumab alla dose di 1500 mg ogni 4 settimane, il secondo trattato con placebo ogni 4 settimane e il terzo trattato con Durvalumab 1500 mg ogni 4 settimane più l’anticorpo anti-CTLA4 Tremelimumab 75 mg ogni 4 settimane per quattro volte, seguiti da Durvalumab 1500 mg in monoterapia ogni 4 settimane. Il trattamento è continuato fino a progressione della malattia determinata dallo sperimentatore, alla comparsa di una tossicità inaccettabile o fino a un massimo di 24 mesi.

I due endpoint primari dello studio erano la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione valutate mediante revisione centralizzata indipendente in cieco (BICR) secondo i criteri RECIST 1.1 per il confronto tra Durvalumab da solo rispetto al placebo, mentre gli endpoint secondari principali erano la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione valutate mediante BICR secondo i criteri RECIST 1.1 per il confronto tra Durvalumab più Tremelimumab rispetto al placebo. Inoltre, sono state eseguite analisi sulla sicurezza e sulla qualità di vita.

Il consolidamento con Durvalumab dopo la chemioradioterapia ha mostrato di migliorare anche i tassi di sopravvivenza rispetto alla sola chemioradioterapia. E' stato stimato un 56,5% dei pazienti trattati con Durvalumab ancora in vita a 3 anni contro 48% dei pazienti trattati con placebo. Inoltre, si è stimato che a 2 anni il 46,2% dei pazienti trattati con Durvalumab non fosse andato incontro a una progressione della malattia rispetto al 34,2% dei controlli.

L’analisi sui sottogruppi ha mostrato che il beneficio del consolidamento con Durvalumab si riscontra in tuti i principali sottogruppi predefiniti di pazienti, indipendentemente da età ( minore di 65 anni vs 65 anni o più ), sesso, razza (bianca o asiatica), stadio di malattia alla diagnosi (I/II vs III), tipo di radioterapia (una volta al giorno vs due) ed eventuale irradiazione cranica profilattica.

Il consolidamento con Durvalumab per un massimo di 2 anni è risultato ben tollerato, in linea con il profilo di sicurezza già noto del farmaco nel setting post-chemioradioterapia concomitante.

Effetti avversi di qualsiasi grado si sono verificati nel 94,3% dei pazienti valutabili (n=262) trattati con Durvalumab rispetto all'88,3% di quelli trattati con placebo (n=265), ma l’incidenza degli eventi avversi di grado 3/4 è risultata simile nei due bracci (24,4% e 24,2%), così come quella degli effetti avversi gravi (29,8% e 24,2%).

Gli eventi avversi che hanno portato all’interruzione del trattamento si sono manifestati rispettivamente nel 16,4% e 10,6% dei pazienti, e ne hanno causato il decesso rispettivamente nel 2,7% e nell’1,9% dei casi. Nel braccio Durvalumab 2 pazienti hanno sviluppato encefalopatia e polmonite che si sono rivelate fatali.

L’evento avverso più frequente in entrambi i casi è stata la polmonite da radiazioni. Complessivamente, l’incidenza della polmonite / polmonite da radiazioni di qualsiasi grado è risultata del 38,2% nel braccio Durvalumab contro 30,2% nel braccio di controllo ( grado 3/4 rispettivamente nel 3,1% e 2,6% dei pazienti ).

Eventi avversi immuno-mediati di qualsiasi grado sono stati segnalati nel 32,1% dei pazienti del braccio Durvalumab e nel 10,2% dei controlli ( grado 3/4 rispettivamente nel 5,3% e 1,5% dei pazienti ). ( Xagena_2024 )

Fonte: American Society of Clinical Oncology ( ASCO ) Meeting 2024

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