Cancro al polmone: l'immunoterapia anti-PD-1 nel setting neoadiuvante può aumentare il numero delle risposte
Nel cancro al polmone in stadio iniziale l’immunoterapia più chemioterapia, prima dell’intervento chirurgico ( setting neoadiuvante ), può aumentare il numero delle risposte.
Nello studio di fase 3 CheckMate-816, l’associazione Nivolumab ( Opdivo ), un immunoterapico, e chemioterapia è stata somministrata a persone con cancro al polmone non-a-piccole cellule resecabile dallo stadio IB a IIIA.
Nei pazienti che, dopo il trattamento con chemioimmunoterapia, hanno ottenuto una risposta patologica completa, cioè non presentano più segni di malattia, la riduzione del rischio di recidiva ha superato l’80%.
Lo studio CheckMate -9LA ha valutato la doppia immunoterapia con Nivolumab più Ipilimumab ( Yervoy ), associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei classici quattro o sei, in prima linea nel tumore del polmone non a piccole cellule metastatico.
Il 27% dei pazienti trattati con questo approccio è vivo a 3 anni contro il 19% con la sola chemioterapia.
Nel 2020, in Italia, sono stati stimati circa 41.000 nuovi casi di cancro del polmone. Spesso la malattia è scoperta in fase avanzata e le diagnosi in stadio precoce, candidabili all’intervento chirurgico, non superano il 25%.
Ad oggi, l’intervento chirurgico è considerato l’unico strumento per ottenere la guarigione definitiva. Una percentuale compresa tra il 30% e il 55% dei pazienti però sviluppa recidiva dopo la chirurgia, confermando una necessità di opzioni aggiuntive che interrompano questo ciclo.
Se l’intervento chirurgico è preceduto da Nivolumab più chemioterapia, è possibile ottenere una importante regressione tumorale e una potenziale guaribilità del paziente.
L’associazione di Nivolumab e chemioterapia aveva già mostrato un miglioramento statisticamente significativo nel tasso di risposta patologica completa, ottenuta dal 24% dei pazienti rispetto al 2% di quelli trattati con la sola chemioterapia.
I dati aggiornati dello studio hanno mostrato la capacità della chemioimmunoterapia neoadiuvante di ridurre di oltre l’80% il rischio di recidiva nei pazienti che ottengono la risposta patologica completa.
Se nella neoplasia in fase precoce la guarigione costituisce un obiettivo reale, nella patologia metastatica le terapie mirano a migliorare la sopravvivenza a lungo termine e alla cronicizzazione.
I dati dello studio CheckMate -9LA, su più di 700 pazienti, si riferiscono a due sottogruppi tradizionalmente a prognosi sfavorevole, caratterizzati da bassa espressione del biomarcatore PD-L1 ( inferiore all’1% ) e dall’istologia squamosa.
Nel primo caso, la sopravvivenza globale a 36 mesi ha raggiunto il 25% rispetto al 15% con la sola chemioterapia, nel secondo il 24% rispetto all’11%.
Nello studio CheckMate -9LA, sono somministrati solo due cicli di chemioterapia, a distanza di 21 giorni. Il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue con la sola immunoterapia.
La riduzione della durata della chemioterapia porta indubbi vantaggi nella tollerabilità delle cure e nella qualità di vita.
Va tenuto in conto che in circa il 30% dei pazienti servono almeno 3-4 mesi perché l’immunoterapia diventi efficace. In questa fase di attesa, la malattia può progredire. Da qui la necessità di nuove opzioni in grado di migliorarne il controllo.
Il disegno dello studio CheckMate -9LA consente di sommare i benefici a lungo termine dell’immunoterapia con l’efficacia immediata della chemioterapia, nella fase critica iniziale di stimolazione del sistema immunitario. ( Xagena_2022 )
Fonte: Società Americana di Oncologia Clinica ( ASCO ) Congresso Annuale, 2022
Xagena_Medicina_2022