Chemioterapici "biologici" nel trattamento del tumore al polmone.

Gianfranco Buccheri, Pneumologia, Osp. di Cuneo

L'area più affascinante è senza dubbio quella dei chemioterapici "biologici", nati dalla ricerca biomolecolare degli ultimi 10-15 anni. Di solito, tali farmaci non hanno lo scopo di uccidere le cellule del tumore, ma di impedirle di moltiplicarsi indefinitamente e di migrare colonizzando il corpo. L'esempio classico è quello dei farmaci anti-neoangiogenesi. Vi sono oltre 50 molecole con attività bloccanti la neoangiogenesi e vi sono diversi modi di bloccarla. Un metodo passa per l'uso di inibitori delle metalloproteasi della matrice intercellulare. Fra questi, spicca il nome della Talidomide, che suona ancora sinistro per i casi di focomelia di quasi mezzo secolo fa. Il suo effetto, in aggiunta a paclitaxel, carboplatino e radioterapia, è attualmente in corso di valutazione in pazienti portatori di NSCLC avanzato in stadio III. Anche il Prinomastat (AG3340) e il Marimastat, altri due potenti inibitori della metalloproteasi, sono in corso di sperimentazione clinica: in associazione a gemcitabina e cisplatino nella malattia avanzata, il primo; da solo nella malattia residua minima, il secondo.