Artrite reumatoide: terapia con farmaci biologici antagonisti del TNF


La consapevolezza dei limiti dei DMARD ( farmaci antireumatici che modificano la malattia ) tradizionali rispetto alle aspettative più ambiziose sull’efficacia terapeutica nell’artrite reumatoide ha fornito un nuovo impulso alla ricerca, sfociato, alla fine degli anni ‘90, con l’introduzione dei farmaci biologici, ottenuti con procedure di colture cellulari pro- o eucariote e di ingegneria genetica.

I farmaci biologici sono stati concepiti per contrastare in maniera mirata alcuni mediatori particolarmente attivi nella cascata infiammatoria responsabile della sinovite reumatoide.
I primi bersagli dei farmaci biologici sono stati il fattore di necrosi tumorale ( TNF ) e l’interleuchina 1 ( IL-1 ).
Mentre l’efficacia clinica del blocco di IL-1 non ha prodotto risultati soddisfacenti, l’inibizione del TNF rappresenta oramai una acquisizione consolidata sia nella terapia dell’artrite reumatoide sia in quella delle spondiloartriti.

Gli antagonisti del TNF attualmente disponibili comprendono l’anticorpo chimerico umano / murino Infliximab, l’anticorpo totalmente umano Adalimumab, ed Etanercept, proteina di fusione tra l’analogo strutturale del recettore solubile p75 del TNF e la regione Fc di una IgG1 umana.

Nell’artrite reumatoide in stadio avanzato gli antagonisti del TNF sono stati impiegati, nell’ambito di studi controllati, perlopiù in pazienti con risposta inadeguata al Metotrexato e, sebbene non sia stato pubblicato alcuno studio di confronto diretto, tutti e tre hanno dimostrato di poter soddisfare le aspettative disattese dai trattamenti convenzionali: rapidità d’azione, marcata riduzione dei segni e sintomi della malattia, risposta terapeutica costante e duratura, miglioramento significativo della qualità di vita e, soprattutto, marcato rallentamento della progressione radiologica del danno strutturale, in particolare quando utilizzati in associazione con il Metotrexato.
Assai incoraggianti sono i risultati degli studi a lungo termine, ottenuti estendendo in aperto la durata della terapia: questi hanno dimostrato infatti, in una percentuale elevata di pazienti, la persistenza della risposta già osservata nell’analisi a breve termine e il mantenimento di un buon profilo di sicurezza.

Il marcato rallentamento della progressione del danno radiografico era già apparso evidente nello studio ATTRACT in cui pazienti con artrite reumatoide attiva nonostante il Metotrexato sono stati randomizzati ad aggiungere placebo o 4 dosaggi di Infliximab.

Risultati molto buoni sono stati ottenuti anche con Etanercept, come si rileva dall’estensione a 3 anni dello studio TEMPO, che ha dimostrato la superiorità della terapia di combinazione Etanercept più Metotrexato rispetto alla monoterapia con i due farmaci sia sulla risposta clinica sia sul danno strutturale.

La maggiore efficacia della terapia di combinazione è stata descritta anche con Adalimumab nello studio ARMADA, in cui i pazienti non adeguatamente responsivi al Metotrexato sono stati randomizzati ad aggiungere al Metotrexato placebo o 3 differenti dosaggi di Adalimumab.
Avviato come studio randomizzato e controllato per le prime 24 settimane, è stato poi esteso in aperto fino a 4 anni, consentendo a tutti i pazienti di assumere Adalimumab alla dose standard di 40 mg ogni 2 settimane.
Alla fine del periodo di osservazione la superiore efficacia di Adalimumab rispetto al placebo, valutata con i criteri di risposta ACR, è stata mantenuta nel tempo nonostante la riduzione della dose dei glucocorticoidi e/o di Metotrexato concomitanti, e il 43% dei pazienti ancora in trattamento presentava una remissione clinica secondo i criteri del DAS28.

Un lungo follow-up a disposizione è quello relativo all’estensione a 8 anni dello studio DE019.
In questo studio multicentrico, della durata di 52 settimane, 619 pazienti con malattia attiva nonostante il Metotrexato sono stati randomizzati ad aggiungere allo stesso Metotrexato Adalimumab alla dose di 20 mg/settimana oppure di 40 mg/2 settimane o ancora placebo.
I pazienti che hanno completato questa prima fase hanno poi ricevuto in aperto Adalimumab alla dose di 40 mg/2 settimane in associazione al Metotrexato per altri 7 anni.
Al termine dell’ottavo anno 185 pazienti erano ancora in trattamento, una risposta ACR20 / ACR50 / ACR70 / ACR90 è stata dimostrata rispettivamente nell’81%, 62%, 46% e 19% dei pazienti; ben il 60% dei pazienti trattati con Adalimumab e Metotrexato ha presentato una remissione clinica ( DAS28 inferiore a 2.6 ) e un arresto della progressione del danno radiografico era evidente nel 55% dei pazienti trattati sin da subito con Metotrexato più Adalimumab 40 mg/2 settimane rispetto al 37% di coloro che erano stati trattati con Metotrexato e placebo nel corso del primo anno.

Dai principali studi clinici in cui sono stati impiegati i farmaci antagonisti del TNF nei pazienti con artrite reumatoide consolidata si è potuto evincere che, come dimostrato nell’artrite reumatoide di recente insorgenza, si può ottenere una risposta clinica significativa, valutata in base ai criteri EULAR o ACR, e un rallentamento della progressione del danno strutturale.

Nel 2006 sono state pubblicate le raccomandazioni per l’uso degli antagonisti del TNF nell’artrite reumatoide da parte della Società Italiana di Reumatologia, che hanno previsto l’utilizzo di tali farmaci in pazienti con malattia attiva ( DAS28 supriore a 5.1 ) che abbiano fallito la terapia con DMARD ( incluso il Metotrexato alla dose di almeno 15 mg/settimana per 12 settimane ).
Più di recente l’EULAR ha pubblicato le evidenze a sostegno dell’uso degli anti-TNF nei pazienti che abbiano fallito la monoterapia con Metotrexato ( o altro DMARD in caso di controindicazione o intolleranza al Metotrexato ), raccomandandone, quando possibile, l’associazione con il Metotrexato.

I risultati ottenuti dai trial controllati hanno dimostrato che i farmaci biologici anti-TNF presentano generalmente un buon profilo di sicurezza.
Dai Registri di sorveglianza post-marketing sono emersi alcuni eventi avversi, talvolta gravi, soprattutto dopo trattamenti a lungo termine.
L’esempio più eclatante è l’aumentato rischio di riattivazione di un’infezione tubercolare latente, motivo per cui lo screening antitubercolare è raccomandato per tutti i pazienti candidati al trattamento.
Altri eventi avversi secondari all’uso di questi farmaci comprendono le infezioni, spesso opportunistiche, la comparsa di autoanticorpi, i linfomi e i tumori solidi ( evidenze non-definitive ), l’anemia o la pancitopenia, la comparsa di psoriasi, il rialzo delle transaminasi, l’aggravamento dello scompenso cardiaco congestizio, le reazioni infusionali o nel sito di inoculo, e le sindromi demielinizzanti.
Infine, in assenza di dati certi, viene sconsigliata l’assunzione degli anti-TNF durante la gravidanza.
Sul mercato europeo si stanno affacciando due nuovi antagonisti del TNF: Golimumab ( anticorpo monoclonale umano anti-TNF ) e Certolizumab pegol ( frammento Fab’ PEGilato di un anticorpo monoclonale umanizzato anti-TNF ). ( Xagena_2011 )

Fonte: Università di Roma, 2011

Xagena_Medicina_2011