La resezione della tiroide migliora l’orbitopatia endocrina nei pazienti con malattia di Graves
Il ruolo della tiroidectomia nel trattamento della malattia di Graves nei pazienti che soffrono anche di orbitopatia endocrina, è ancora controverso.
Ricercatori della Philipps University di Marburgo in Germania, hanno valutato il decorso dell’orbitopatia endocrina in correlazione al grado di resezione tiroidea.
Uno studio cross-sezionale, retrospettivo, è stato eseguito su una serie di 171 casi di malattia di Graves, nel periodo 1987-2002.
La gravità dell’orbitopatia endocrina, al momento dell’intervento chirurgico, è stata valutata secondo la classificazione NOSPECS; i risultati nel lungo periodo sono stati ottenuti per mezzo di interviste telefoniche.
L’acquisizione dei dati completi è stata possibile nell’89% dei pazienti.
Di questi, le donne erano 123 ( età mediana 36 anni; range: 10-75 ), mentre gli uomini erano 30 ( età mediana: 33 anni; range 22-65 ).
Riguardo alla gravità dell’orbitopatia endocrina, il 45.8% dei pazienti non aveva alcun sintomo oculare ( gruppo I ).
Gli 83 pazienti con malattia oculare clinica sono stati suddivisi in 2 gruppi: gruppo II ( 76% ) con sindrome oculare moderata e gruppo III ( 24% ) con marcati sintomi di orbitopatia endocrina.
Un totale di 12 pazienti è stato sottoposto a tiroidectomia totale, 96 a resezione con procedura Dunhill e 45 a resezione subtotale.
Il periodo osservazionale mediano è stato di 96 mesi.
Tra gli 83 pazienti che lamentavano orbitopatia endocrina, il 63,8% ha dichiarato di aver avuto un miglioramento dell’orbitopatia endocrina dopo intervento chirurgico, nel 34.9% la malattia è risultata stabile, e solo una paziente ha dichiarato il peggioramento della malattia oculare.
Il grado di resezione della tiroide non è risultato correlato al decorso post-operatorio dell’orbitopatia.
In conclusione, la chirurgia tiroidea per malattia di Graves migliora il decorso dell’orbitopatia endocrina, indipendentemente dal grado della reazione. ( Xagena_2008 )
Maurer E et al, Chirurgia 2008; 103: 291-293
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