Gli antipsicotici nel trattamento della schizofrenia cronica
Intervista al Prof Vincenzo Villari, Direttore di Psichiatria 2 Azienda Ospedaliera " San Giovanni Battista " - Molinette Torino
Può darci qualche informazione relativa alla studio CATIE ?
Il lavoro clinico CATIE, apparso in questi giorni sul New England Journal of Medicine, riguarda uno studio randomizzato, doppio-cieco e multicentrico, che esamina il trattamento di 1493 pazienti con schizofrenia cronica o ricorrente per un periodo di 18 mesi. Questo studio, finanziato da un istituto indipendente il National Institute of Mental Health (NIMH), vuole confrontare “l’effectiveness” tra antipsicotici atipici ed antipsicotici di prima generazione nel trattamento della schizofrenia.
Può spiegare meglio il concetto di effectiveness ?
L’obiettivo degli studi di efficacia è quello di valutare la capacità di un farmaco di ridurre uno specifico sintomo o più sintomi; questi studi sono caratterizzati da criteri molto rigidi di selezione dei pazienti. Nel mondo scientifico l’importanza di questi studi è fondamentale: grazie alla loro riproducibilità è possibile ottenere l’autorizzazione per l’utilizzo dei nuovi farmaci nella pratica clinica. Il limite è rappresentato dal fatto che nella comune pratica clinica i pazienti sono diversi da quelli su cui il farmaco è stato testato, così come sono diverse e non standardizzate le condizioni ambientali in cui la terapia viene attuata.
Gli studi di effectiveness, invece, forniscono informazioni sugli effetti di un trattamento farmacologico in pazienti che si incontrano nella pratica clinica quotidiana. Ne consegue che i criteri di selezione dei pazienti sono meno stringenti e le condizioni ambientali più eterogenee, cosa che non sempre consente una completa riproducibilità degli studi.
Quali sono, allora, i risultati del CATIE ?
Per quanto riguarda l’efficacia non sono emerse differenze significative tra i gruppi di trattamento. Il lavoro, però, ha valutato anche variabili diverse e soprattutto la durata del trattamento che è direttamente correlata all’interruzione delle terapie che spesso i pazienti schizofrenici attuano arbitrariamente e senza informare i curanti. Dallo studio CATIE è emerso che l’interruzione delle terapie è alta ed oscilla tra il 64% e l’82%.C’è da dire che i diversi farmaci sono stati utilizzati a dosaggi diversi nell’ambito del range di posologia previsto dalle schede di registrazione, e per uno solo di essi è stato impiegato un dosaggio superiore a quello della scheda tecnica. Questo aspetto potrebbe rendere il risultato dello studio poco applicabile alla realtà clinica quotidiana.
Quali sono i risultati sotto il profilo degli effetti collaterali ?
Anche per questo parametro vi è un diverso comportamento delle molecole studiate con oscillazioni che vanno dal 10% al 18%. Gli effetti collaterali riscontrati più comunemente sono stati gli stessi che emergono dalla pratica clinica: sintomi extrapiramidali, aumento di peso e disturbi metabolici, iperprolattinemia. Tra i diversi farmaci esaminati Quetiapina ha confermato la sua buona tollerabilità e la bassa incidenza di effetti collaterali.
Pensa che questo studio possa avere un’applicabilità nella pratica clinica quotidiana ?
Questo studio di effectiveness conferma ciò che emerge dalla pratica clinica di ogni psichiatra e cioè che uno dei problemi più importanti nella terapia delle psicosi è la continuità terapeutica e le terapie farmacologiche di mantenimento a medio e lungo termine.
E’ probabile che alcuni fattori ambientali, quali l’organizzazione della salute mentale negli Stati Uniti, abbia potuto influenzare questo parametro dello studio. E’ auspicabile che l’organizzazione della psichiatria italiana, basata sull’assistenza territoriale erogata dai Dipartimenti di Salute Mentale, possa ridurre questo problema e quindi aumentare l’effectiveness, intesa come efficacia reale, degli antipsicotici nella pratica clinica di tutti i giorni.
Xagena_2005